La fusione tra TIM e Iliad è inevitabile? Ci sono altre ipotesi sul tavolo
In uno scenario di frammentazione del mercato, concorrenza serrata e compressione dei prezzi con margini sempre più bassi, prende corpo l’ipotesi di una fusione tra TIM e Iliad, che potrebbe ridisegnare gli equilibri del mercato italiano, ma che non è priva di ostacoli.

Il destino della fusione tra TIM e Iliad resta ancora incerto. Da un lato, ci sono tutte le premesse per un’operazione win-win: razionalizzazione dei costi, rafforzamento tecnologico, crescita della capacità competitiva del sistema Italia. Dall’altro, permangono divergenze su governance, ruolo del governo, peso degli azionisti pubblici e margini di manovra per il partner francese.
Se le parti riusciranno a trovare un punto di equilibrio, la fusione potrebbe rappresentare una svolta epocale per il settore, segnando l’avvio di un nuovo ciclo di investimenti, semplificazione e rilancio. In caso contrario, lo stallo rischia di prolungare l’attuale paralisi strategica, proprio nel momento in cui il digitale dovrebbe diventare la colonna portante della competitività italiana.
Il settore delle telecomunicazioni in Italia è di fatto da anni alle prese con un’eccessiva frammentazione del mercato, che ha generato concorrenza serrata, compressione dei prezzi e margini sempre più stretti. Questo contesto ha reso difficile per gli operatori investire in innovazione e infrastrutture, proprio in una fase storica in cui la digitalizzazione del Paese richiederebbe risorse e strategie condivise. È in questo scenario che prende corpo l’ipotesi di una fusione tra TIM e Iliad, che potrebbe ridisegnare gli equilibri del mercato italiano, ma che non è priva di ostacoli regolamentari, politici e strategici.
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Il consolidamento come necessità di sistema
L’amministratore delegato di TIM, Pietro Labriola, ha ribadito la necessità di un processo di consolidamento del settore, citando come esempio i casi di Francia, Spagna e Regno Unito, dove si sta passando da quattro a tre operatori principali. In Italia, la moltiplicazione delle reti e l’eccesso di competizione hanno reso il mercato instabile, portando tutti gli attori a una continua erosione dei profitti.
Secondo Labriola, una fusione tra TIM e Iliad – o anche tra Iliad e WindTre – rappresenterebbe un’operazione positiva, a patto di non sfociare in una concentrazione che ostacoli il pluralismo tecnologico. La combinazione tra TIM e Iliad consentirebbe infatti di razionalizzare le reti, tagliare i costi duplicati e rilanciare gli investimenti nel 5G, nella fibra e nei servizi a valore aggiunto come cloud e data center.
Le trattative e gli equilibri da trovare

Secondo quanto emerso nelle ultime settimane, i contatti tra TIM e Iliad sarebbero già iniziati, con l’obiettivo di esplorare una possibile fusione delle attività. Tuttavia, le interlocuzioni sono ancora in una fase iniziale e diversi nodi restano irrisolti. Da una parte, Iliad – guidata da Xavier Niel e rappresentata in Italia da Benedetto Levi – vorrebbe ottenere una quota del 35% nella nuova società aggregata, aspirando anche a un ruolo di primo piano nella governance.
Dall’altra, però, si registra la posizione di Poste Italiane, che tramite Cassa Depositi e Prestiti (CDP) ha ormai quasi il 25% del capitale di TIM. Una percentuale che, di fatto, garantisce al governo un’influenza strategica sulle scelte dell’ex monopolista. In quest’ottica, l’esecutivo italiano appare poco propenso a cedere il controllo dell’eventuale entità post-fusione, rendendo difficile immaginare per Iliad un ingresso con poteri effettivi di indirizzo.
Iliad: tra interesse concreto e cautela diplomatica

Da parte sua, Iliad conferma l’interesse per un consolidamento, ma evita di apparire troppo pressante o bisognosa dell’operazione. «Il consolidamento porterebbe grandi benefici a tutto il settore e al sistema Paese, e noi siamo pronti a fare la nostra parte», ha dichiarato Levi durante il summit “Telecommunications of the future”. L’intenzione, dunque, sembra essere quella di tenere aperti più canali senza compromettere la propria autonomia negoziale.
In questo senso, è interessante notare come Iliad abbia smentito un coinvolgimento con WindTre, nonostante le indiscrezioni che suggerivano un possibile piano B nel caso in cui l’intesa con TIM non andasse a buon fine. Le fonti vicine al gruppo francese parlano piuttosto di un’operazione strategica a lungo termine, che non necessariamente passa da un consolidamento immediato.
L’ombra dell’Antitrust e la posizione del Governo
Uno dei principali ostacoli a un’eventuale fusione tra TIM e Iliad è rappresentato dai possibili rilievi dell’Antitrust, sia italiano che europeo. Anche se un’aggregazione di questo tipo non sarebbe vietata a priori – a differenza di una TIM-WindTre, considerata difficilmente compatibile – resta da valutare l’impatto sulla concorrenza nel settore mobile, dove TIM è già il principale operatore e Iliad ha conquistato in pochi anni una quota rilevante grazie a offerte aggressive e trasparenti.
Nel frattempo, il governo italiano osserva con attenzione. L’ingresso di Poste in TIM, il coinvolgimento di CDP e il dialogo sulla rete unica (Fibercop e Open Fiber) dimostrano che la politica vuole mantenere un ruolo guida nel futuro delle telecomunicazioni italiane. Il presidente di CDP, Giovanni Gorno Tempini, ha chiarito che la sua presenza nel consiglio di TIM non è legata a un mandato politico, ma appare evidente che ogni operazione strategica passerà per una valutazione dell’esecutivo.
Tra mercato, geopolitica e tecnologia
Oltre ai profili industriali e finanziari, il possibile matrimonio tra TIM e Iliad solleva riflessioni geopolitiche. La presenza di un attore francese in una delle infrastrutture digitali più sensibili del Paese potrebbe sollevare dubbi in termini di sicurezza nazionale e controllo dei dati, soprattutto in un contesto internazionale sempre più attento all’autonomia digitale.
Allo stesso tempo, però, una partnership franco-italiana nel settore potrebbe anche essere letta come un rafforzamento dell’asse europeo, in grado di contrastare le pressioni competitive provenienti da operatori extra-UE e dalle big tech americane.
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