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Gas, perché la Germania fa da sé e quali conseguenze per noi

Prima i tagli alle forniture, poi il boicottaggio del gasdotto Nord Stream. Il governo tedesco teme che presto Mosca potrebbe optare per il blocco totale delle forniture di gas all’Europa Occidentale e così ha deciso di stanziare 200 miliardi di euro per alleggerire il peso delle bollette.

A cura di: Luigi Dell'Olio
A cura di: Esperto di prodotti finanziari, mercati energetici e telefonia
Si laurea in Giurisprudenza e diventa in seguito giornalista professionista, specializzandosi in economia e finanza. Collabora con primarie testate italiane, tra cui “la Repubblica” e “Affari&Finanza”. È inoltre coordinatore del mensile “Private” e autore per Segugio.it.

linea editoriale Segugio.it
Tempo di lettura 3 minuti
Pubblicato il 11/10/2022
termosifone a parete in una casa
Germania contro il caro gas

Duecento miliardi di euro. È la somma messa sul piatto dal governo tedesco per alleviare la sofferenza di famiglie e imprese tedesche alle prese con il caro-energia. Una misura che ha sollevato critiche tra i partner europei, a cominciare dal primo ministro italiano Mario Draghi. Cerchiamo di capire perché.

La decisione

Prima i tagli alle forniture, poi il boicottaggio del gasdotto Nord Stream. Il governo di Berlino è convinto che presto Mosca deciderà per il blocco totale delle forniture di gas all’Europa Occidentale e così ha deciso di adottare una misura shock: 200 miliardi di euro di stanziamenti per alleggerire il peso delle bollette per i tedeschi. “La crisi energetica rischia di diventare economica e sociale e non possiamo permettere che questo accada”, è stato il commento con cui il ministro dell’Economia, Robert Habeck, ha annunciato il provvedimento. Per il resto non è ancora chiaro come funzionerà il provvedimento, dato che è stata costituita una commissione di esperti, incaricata di presentare una proposta. Verosimilmente lo Stato si farà carico di pagare una percentuale importante delle bollette, un po’ come fatto (su scala minore) dal governo italiano in merito ai carburanti per le auto.

Perché noi no

Inutile dire che un provvedimento simile sarebbe benvenuto anche da noi, considerate le difficoltà crescenti di famiglie e imprese, che saranno ancora più evidenti quando risulteranno chiari gli aumenti in partenza da questo mese.

Ma una prospettiva simile non è realizzabile e la spiegazione è tutta nella dinamica debito/PIL, cioè tra l’ammontare di debiti accumulati nel tempo da un Paese e il “fatturato” realizzato nel corso di un anno. Nel caso della Germania questo rapporto ammonta al 69%, mentre in Italia è al 151%, con un’impennata di circa 20 punti in seguito alle misure adottate dal governo nazionale per contrastare la crisi pandemica. Ed è questa la ragione per cui i bond tedeschi sono considerati più sicuri dai mercati e vengono quindi venduti con un tasso d’interesse molto più basso rispetto ai Btp italiani. Con tutto ciò che ne deriva in termini di drenaggio delle risorse, che potrebbero essere destinate alla spesa sociale e invece vengono assorbite dal pagamento degli interessi sul debito. La differenza i tassi d’interesse decennali dei due Paesi, il cosiddetto “spread”, nelle ultime settimane si è aggirato intorno ai 220-250 punti base, con una tendenza al rialzo da quando hanno cominciato ad addensarsi i nuvoloni nello scenario internazionale.

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Ognuno per sé

La decisione tedesca è stata criticata da Draghi, secondo il quale “non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali”. Quindi ha aggiunto che la crisi energetica richiede, da parte dell'Europa, “una risposta che permetta di ridurre i costi per famiglie e imprese, di limitare i guadagni eccezionali fatti da produttori e importatori, di evitare pericolose e ingiustificate distorsioni del mercato interno e di tenere ancora una volta unita l’Europa di fronte all’emergenza".

Quella del presidente del Consiglio italiano non è la dichiarazione di chi guarda con invidia alla salute dei conti pubblici di un altro Paese europeo, ma soprattutto un appello ad affrontare il problema alla radice. Mettendo in campo nuove risorse pubbliche non si combatte la speculazione alla base dell’impennata del prezzo del gas – iniziata prima che la Russia invadesse l’Ucraina – anzi si creano le condizioni perché possa proseguire, e magari rafforzarsi, contando poi sul cuscino offerto dall’intervento statale.

Proprio la Germania, insieme all’Olanda e all’Ungheria, è invece contraria alla proposta italiana di introdurre un tetto europeo al prezzo del gas. In concreto vorrebbe dire trattare con la Russia indicando che oltre una certa cifra non si è disposti a pagare. Ma finora non si è trovato un accordo sul punto.

Intanto qualche passo in avanti è stato compiuto all’ultimo Consiglio straordinario di Bruxelles. Sono state concordate tre misure: una riduzione obbligatoria del 5% della domanda elettrica, da effettuare nelle ore di punta in tutti gli Stati membri; un tetto di 180 euro per Mwh ai ricavi per le aziende inframarginali, che forniscono energia da fonti rinnovabili e nucleare sul mercato elettrico; un prelievo aggiuntivo del 33% sugli extra profitti delle aziende che forniscono elettricità da fonti fossili. Le risorse raccolte dovrebbero essere trasferite a famiglie e imprese in condizioni di particolare vulnerabilità economica.

In cerca di convergenza

Le speranze di una posizione comune a livello europeo non sono tramontate del tutto. Il 20 e 21 ottobre Bruxelles ospiterà il vertice dei leader nazionali chiamati a decidere sul tetto del gas. Negli ultimi giorni è stata registrata una vasta convergenza sulla proposta del presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, relativa a un price cap dinamico, con oscillazione massima del 10% che consenta un adeguamento alle condizioni del mercato, ma senza la volatilità degli ultimi mesi. Perde invece quota il progetto messo a punto dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, di introdurre un tetto solo sul gas usato per produrre elettricità. Nell’ultimo caso, infatti, si ignorano i due-terzi del mercato del gas e si creano “disincentivi alla riduzione dei prezzi”, secondo il documento prodotto dal nostro governo. 

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